Nando Dalla Chiesa

Sociologo dell'economia, docente, politico, scrittore ed editore. Da sempre impegnato nel "fondare creature collettive" per dare dignità nazionale all'idea che si debba combattere la mafia. Attualmente è Sottosegretario al Ministero dell'Università e della Ricerca, con delega al diritto allo studio, ai conservatori e alle accademie.


LA MUSICA CHE CI CREDE E CHE NON CONOSCE MURI Non ricordo se fosse il 1999 o il 2000. A quei tempi coordinavo una commissione d'indagine della Camera dei deputati sull'abbandono scolastico. Giungemmo a Napoli. Meta, la scuola di via Pasquale Scura, Quartieri Spagnoli, di cui gli esperti ci avevano raccontato un gran bene. Maestri di strada, professori appassionati, metodi d'avanguardia. Molto impegno, molta inventiva e pochi soldi, a testimoniare uno dei più ammirevoli casi, come si dice, di nozze con i fichi secchi. Passai una mattina intera a girare per le aule. Osservai con curiosità che cosa e come vi si insegnava. Film, danza, inglese, laboratori multimediali. E sempre, sullo sfondo, i grandi valori civili. Per ragazzini e adolescenti tentati, fuori da quelle mura, dalle sirene della camorra o delle culture che le sono più strettamente imparentate. Fu proprio in uno dei laboratori che a fine mattina mi venne spontaneo esprimere calorosamente la mia ammirazione verso gli insegnanti che ogni giorno, da quella postazione d'avanguardia, cercavano di rendere con il loro lavoro più civile Napoli, più civile l'Italia. La professoressa mi guardò diritto negli occhi e mi disse: "Be', lei ha visto quello che facciamo; ecco, sappia che appena i ragazzi usciranno da qui ci penserà la televisione a smontare tutto il nostro lavoro della mattina. Così ogni giorno ricominciamo". Restai folgorato da quella amarezza. Ma anche da quella rivelazione. La scuola migliore ridotta a impotente Penelope, costretta - stavolta controvoglia - a ricominciare ogni giorno la propria tela. Pensai che se la televisione, la celebre televisione deficiente, era in grado di smantellare ore e ore di lavoro e di parole ben spese, ciò avveniva anche perché c'era una contiguità profonda tra cultura televisiva e cultura dei Quartieri. E questo veniva confermato dalla luce azzurrognola che usciva dai bassi delle vie, da ogni porta e da ogni finestra, come per dire che la tivù se ne stava permanentemente accesa a seminare e rafforzare valori e linguaggi attraverso le trasmissioni più congeniali per la cultura dei ragazzi. Tivù senza sosta, assenza di altre occasioni di divertimento, cultura "ambientale". Una miscela micidiale, che da qualche parte doveva pure essere aggredita. E visto che la tivù, nelle singole case, non poteva essere chiusa d'imperio, né d'imperio si potevano sintonizzare i televisori sulle trasmissioni meno deficienti o più formative (perché ogni tanto anche queste capitano), non c'era molto da scegliere. O si interveniva sulla cultura di strada o si offrivano altre occasioni di incontro e di divertimento. Perciò oggi mi appare felicissima l'idea che, anche grazie agli 'A67, vengano portate nelle scuole esperienze musicali decise a esprimere una radicale distanza civile dalla camorra, e a prospettare valori perfino antagonisti. La musica non si ferma infatti dentro la scuola, ma corre, corre fuori liberamente con le sue note e le sue parole, perché non conosce muri. E può anche spingere a farne dell'altra e poi dell'altra ancora. Favorendo, chissà mai che non si sogni troppo, sia nuove e diverse possibilità di incontro e di divertimento, sia anche, con il tempo, un'altra cultura di strada. Non è detto che ci riesca. Ma potrebbe. Soprattutto se ci crede. E se poi qualcuno, nel frattempo, pensa alla tivù...